Traduzioni scadenti, breve appello per una decrescita editoriale, aggiramento della Legge Levi, Elliot e vagheggiamenti polemici.
Alla fine, mi arrendo al
caldo. Davvero. Mi rifiuto di uscire di casa finchè non si abbassano
le temperature. Non sono riuscita a dormire neanche col ventilatore
puntato, continuo a bere come un cammello e a sudare come un macaco
in sauna. Schifo di caldo. Vorrei infilarmi nel freezer.
Ad ogni modo, oggi mi
limito ad un paio di argomentazioni fugaci. Poco fa, vagheggiando
allegramente per blog, ho trovato questo post su Diario dei
Pensieri Persi, che tratta di
come BOL abbia sapientemente aggirato la legge Levi (sapete, quella
che pone un tetto massimo agli sconti sui libri e che ne limita i
periodi... quella bella legge lì...) e recante un link a questo post
da Il Vizio di Leggere,
un sentito omaggio di un lettore per la casa editrice Elliot. A parte
il fatto che sono entrambi due blog meravigliosi che probabilmente
conoscerete già – ma se per qualche particolare congiunzione
astrale non dovesse essere così, ve li consiglio caldamente – i
temi mi interessano parecchio.
Per
quanto riguarda gli sconti BOL, portati anche al 35% grazie ad una
particolare clausola della già citata Legge Levi, io non riesco a
schierarmi del tutto dal lato della giustizia. Non in questo caso.
Anzi, mi trovo a sperare che altre case editrici e librerie emulino
la trovata, anche se una parte di me borbotta scocciata nel vedere
come una legge si possa ribaltare. Anche se non è una legge che
sostengo.
Il
fatto è che io sono per la libera concorrenza. Nel rispetto dei
lavoratori e nel rispetto delle norme e dell'ambiente, io sono per la
concorrenza. Tornando al post sulle librerie indipendenti, allargo il
mio punto di vista un po' a tutte le aziende presenti sul mercato:
ognuno dovrebbe vedere quello che può offrire, prendere coscienza
dei propri punti di forza e agire di conseguenza, piuttosto che
penalizzare chi ha più possibilità – e soprattutto i consumatori
– mettendo dei limiti alle possibilità di movimento altrui. Certo
che queste possibilità non sono le stesse, me ne rendo conto. Ma non
possiamo bloccare il mercato perché una certa azienda ha bisogno di
essere tenuta per mano.
Seconda
questione! La Elliot. Sotto un post tributo davvero sentito, sorgono
le discussioni, col manifestarsi di commenti non soltanto di cattivo
gusto, ma proprio maleducati. Non che non abbiano ragion d'essere:
sotto il piacevole omaggio, scopriamo che la Elliot – a quanto pare
- sfrutta i propri collaboratori, in particolare non pagando o
pagando in ritardo i propri traduttori. E questo mi dispiace. Mi
piace, la Elliot, sia come scelte editoriali che come veste grafica.
Mi piaceva l'idea di una casa editrice nuova e indipendente, nata dal
nulla e che è riuscita a guadagnarsi il suo posto in libreria grazie
alla qualità dei propri libri. Mi piaceva, cavolo. E mi dispiace
enormemente scoprire di queste orribili esperienze.
Da
qui mi parte però un'altra riflessione. Un piccolo collegamento.
La
traduzione. Che qualcosa non stesse andando per il verso giusto nel
magico mondo dei traduttori, era disgraziatamente evidente. Negli
ultimi tempi ho visto libri tradotti così male che mi sono trovata a
dover interrompere la lettura per il disgusto. Sul serio. Serravo gli
occhi, sospiravo profondamente, chiudevo il libro e lo mettevo da
parte. Perché uno che lavora per Mondadori-Garzanti- Elliot e
sbaglia i congiuntivi mi fa imbestialire. Anzi, di solito non si
tratta 'soltanto' di congiuntivi, ma di intere frasi tradotte a
ciufolo. Mi sono trovata a rileggere più volte delle parti
chiedendomi cosa volessero dire, intravedendo una sintassi inesatta e
un'errata traduzione di certe parole. Credo sia opinione largamente
condivisa che una buona traduzione è una traduzione invisibile. Un
libro è tradotto bene quando non si capisce che sia stato tradotto,
no? Ma adesso ogni volta che apro un libro rabbrividisco. No, beh,
ogni volta no. Devo dire che finora Guanda non mi ha dato dispiaceri
e che certi libri di Einaudi e li ho trovati così ben fatti da
annuire con estrema approvazione durante la lettura. Ma ovviamente le
cose cambiano da traduttore a traduttore, anzi, da libro a libro. Mi
vengono in mente numerosi esempi: Laura Grandi è stata eccellente
con 'Chocolat' ma terribile con 'La scuola dei desideri'. Chiara Brovelli
ha svolto un lavoro ineccepibile con 'Il Vangelo secondo Biff', ma
purtroppo non si può dire lo stesso di 'Suck!' o 'Un lavoro sporco'.
Normalmente
tendo alla semplificazione e alla schematizzazione nei miei giudizi.
Eppure in questo caso mi è impossibile. Entrambe le traduttrici
hanno dimostrato di saper fare il proprio lavoro con professionalità
e competenza. Eppure hanno anche dato prova di scarsa cura, con
traduzioni letterali o sintassi poco chiara. Quali possono essere i
fattori determinanti? La mancanza di tempo o la mancanza di
motivazione? Io non so dare una risposta. So soltanto che vorrei che
le case editrici si prendessero più cura dei loro collaboratori e
dei loro dipendenti. La traduzione è vitale, complessa e degna di
rispetto. E di rispetto siamo meritevoli anche noi lettori, che
vorremmo poterci godeere un libro senza inciampare in 'Abbiamo una
situazione' e simili castronerie. Collego questo problema a quello
della decrescita editoriale: se le case editrici la smettessero di
pubblicare compulsivamente una quantità improponibile di opere,
avrebbero più tempo e più risorse per prendersi cura delle proprie
creature. Io fossi in loro un pensierino ce lo farei volentieri...