Salone del Libro - Stand, case editrici e chiacchiere


Eh, lo so, quando mia sorella capita da queste parti tendo a scomparire e ad aggiornare pochissimo. D'altronde, che ci posso fare?
Dunque, stand e case editrici. Tanto per cominciare mi sono tenuta bene alla larga dalle BIG, perché di andare a pescare libri che potrei trovare tranquillamente in una qualsiasi libreria, come dire, mi sembrava un tantino superfluo. Tra l'altro la mia gita al Salone è stata sì di piacere, ma pure corredata da una missione importantissima, ovvero fare una cernita delle piccole case editrici più meritevoli, sgraffignare cataloghi e scambiare biglietti da visita. Non miei, eh, dell'AltroLuogo. La libreria quella delle mie parti. Quella bella, dai. Per poi mettersi d'accordo e organizzare presentazioni e  incontri con gli autori, quel genere di cose lì. Tra l'altro devo assolutamente passarci oggi o domani, così porto i cataloghi...
Dicevo! E dunque ho vagato per gli stand con sguardo da segugio, appuntandomi nomi, copertine, autori. Mi ero preparata una lista della spesa e ho finito per comprare tutt'altri libri. Un po' perché speravo in sconti che non ci sono stati e un po' perché acquisti istintivi hanno sbalzato quelli previsti dalle mie finanze piangenti. Non credevo di spendere così tanto. Cioè, lo temevo, ma non avrei mai creduto di farlo. Voglio dire, per tre giorni mi sono nutrita di focaccia – panfocaccia, dal mio eccelso e ligure punto di vista, ma vabé – del Crai e di quanto mi ha generosamente preparato l'amica che mi ospitava. Eppure bom, sono riuscita a stento a tenermi sotto le tre cifre. E di poco.
Dannazione.
Alcuni standisti sono stati di una gentilezza incredibile, ad altri avrei pestato le scarpe dopo un bagno di liquame. No, dico, perdonami o somma sconosciuta, se ho osato pensare che alla tua microscopica casa editrice avrebbe potuto interessare un rivenditore. Perdonami, eh. Vado a flagellarmi con una copia della Divina Commedia.
L'amore è scattato con Astoria, la cui standista – e redattrice, immagino – faceva sconti ben più consistenti di quanto lasciasse intendere il cartello e regalava borse anche quando le si poneva una semplice domanda. L'ho adorata. Anche perché era evidente quanto amasse i suoi libri e quanto fosse – giustamente – fiera delle opere esposte sul banco. Da lì sono venuta via con Sono pazza di te (ma fino a un certo punto) di Marina Morpugo – che mi è piaciuto assai – e Agatha Raisin e la quiche letale – di M. C. Beaton, di cui la Morpurgo è traduttrice e che mi ha indicibilmente entusiasmata. Avrei voluto restare lì per ore e scegliere qualcos'altro da portare via, giuro che sono stata così tentata dall'agguantare mezzo catalogo che sono dovuta uscire. Davvero. E un po' me ne pento, poiché orrendamente bramo.
Poi Miraggi Edizioni. Lì non facevano esattamente sconti, bensì un 3x2, il che mi è capitato a fagiolo, visto che ho divorato con assoluto divertimento il libro che mi è stato consigliato come omaggio. È un libro di cui non riesco a scrivere il titolo senza doverlo ricontrollare venti volte, vediamo... Culhwch. Una lollosissima parodia  di favola epica. Tra l'altro prima di partire mi ero ben informata sul catalogo Miraggi appuntandomi un paio di titoli (Il requiem del dodo e Musica per orsi e teiere) ma non riuscivo a trovare il secondo e ho dovuto chiedere alla standista se non ci fosse un libro con una teiera in copertina, visto che il titolo me l'ero scordato.
E l'E/O, nel cui spazio mi sono avventurata dicendomi che avrei dato solo un'occhiatina per poi uscirne con tre libri. Uno in omaggio, comunque, per aver preso gli altri due, su cui già c'era un bel 20% di sconto. Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio e I ferri dell'editore. Il primo l'ho regalato – adorabilmente autografato dall'autore – a mia madre e sono certa che lo adorerà.
Poi beh, superfluo parlare dell'Isbn, casa editrice che adoro e stalkero. Gli unici che fin dal primo giorno hanno fatto sconti davvero da fiera. Ho trafugato Ritratto di famiglia con superpoteri a 12 euro piuttosto che a 16,90, poi la tentazione è stata insopportabile e mi sono presa pure Alta Definizione, che in teoria doveva costarmi 12 euro, solo che la standista si è sbagliata e... vabé. Credo sia un po' una mia maledizione, pure la standista della regione Umbria che mi ha venduto La storia di una bottega di Amy Levy mi ha fatto pagare di più. Che terribile onta, per una ligure.
Dulcis in fundo, la Jo March.
Appena entrata al Salone, la mattina del primo giorno, sono corsa a cercarla, passando davanti a decine di stand oltremodo interessanti. Ho oltrepassato senza fermarmi perfino lo stand Isbn, perché ci tenevo a inaugurare i miei acquisti al Salone con La storia di una bottega. E poi beh, sabato, l'incontro col celeberrimo critico Piero Dorfles, con cui sia io che Camilla ci siamo fatte la foto.
Ora, so che è un po' tanto superficiale da dire, ma le ragazze della Jo March sono stupende. No, non parlo di roba interiore, sono proprio belle, tanto da lasciarmi basita e farmi sospettare che fossero vampire. Cioè, non c'entra nulla, però è stato uno shock.
Dunque, l'incontro con Dorfles – e il successivo acquisto di La casa sfitta – è stato davvero interessante. È partito presentando i libri della Jo March per poi enumerare i motivi per cui dobbiamo sentire il bisogno dei classici, che cosa ci dicono di noi e del mondo che abbiamo intorno, come ci aiutano a capirlo. La semplice constatazione che è inutile per uno studente stare a leggere solo storie di studenti, perché alla fine sa benissimo com'è la vita di uno studente. Che tra l'altro di solito – e questa è una mia aggiunta – viene resa malissimo.
Poi ci siamo fermate a fare due chiacchiere con le ragazze della Jo March, io, Sonia e Camilla. Sono state di una simpatia e di una gentilezza prodigiose, non mi hanno neanche guardata male per i miei modi saltellanti da fangirl, anche se temo di essere risultata un tantinello fanatica e inquietante. La mia speranza è di riuscire a organizzare all'AltroLuogo – la libreria di poc'anzi – qualche incontro dedicato alle scrittrici dell'800 durante il quale presentare qualche libro loro e dell'Astoria. Magari chiamando qualche blogger di quelle che ne sanno a parlare...
In sostanza mi è rimasta un po' di delusione per le case editrici che vendevano a prezzo pieno e un paio di domande a questo proposito. Voglio dire, vendendo direttamente dallo stand non si risparmia di libreria e distribuzione? Ora, colui/colei che gestisce l'account Twitter della Isbn mi ha risposto che si risparmia sicuramente sulla libreria, ma che non è certo/a sulla distribuzione. Quindi in teoria lo sconto almeno sulla percentuale della libreria sarebbe stato altamente gradito, anche se effettivamente il prezzo giornaliero dello stand si fa sentire.
Io però è un po' che mi chiedo, visto che – a quanto ho sentito – la percentuale della distribuzione si aggira tra il 30% e il 60% del totale dalla vendita del libro... ma perché? Cioè, la distribuzione è quell'unico punto dell'ambaradan di cui si può in teoria tranquillamente fare a meno. Cioè, se i librai spulciassero da sé i cataloghi, se le case editrici si fornissero di un apposito ufficio o se anche certe case editrici collaborassero per la creazione di un distributore low-cost da loro stessi sovvenzionato... cioè, non sarebbe un risparmio? La butto lì. Poi sia chiaro che dell'ambiente 'libreria' ancora non ho chiare moltissime cose, quindi non abbiate scrupoli e ditemi pure chiaramente 'Hai detto una cacchiata d'abnormi dimensioni'.
E quindi, perdono per questo lungo e inconcludente post pieno di chiacchiere un po' inutili ed entusiasti saltellamenti. Il prossimo post sul Salone sarà l'ultimo e temo sarà cialtrone quanto questo.