E
dunque, buongiorno. È da un po' che non scrivo un post che sia
effettivamente una recensione. Tralasciamo l'intenso bullarmi per i
regali che mi ha fatto madre per il compleanno (ho iniziato L'ultimo
ballo di Charlot di Fabio Stassi e mi sta piacendo un sacco),
tralasciamo le polemiche sul trattamento di Pratchett – magari
prima o poi dovrei scribacchiare anche qualche suggerimento su
come-cosa leggere, del caro Pratchy, che tra tutti 'sti titoli si
rischia d'intimorirsi – e soprassediamo sulle mie poco costruttive
critiche su Frankenstein. Non rimane molto.
Già
che ci sono, premetto che molto probabilmente sarò al Lucca Comics.
A nerdeggiare con estrema gioia insieme a un buon tot di amici. Chi
ci va? So che domenica alle 12 c'è un incontro con Luca Tarenzi e
Francesco Dimitri. Per dire. Io ci vo'.
Ma
dunque, Ogni cuore umano.
Questo
libro è stato una sorpresa. Vagavo per la biblioteca da non so
quanto e continuavo a non trovare nulla. Cercavo la costa
rassicurante della Neri Pozza, o un titolo che mi facesse scattare
qualcosa. Alla fine, visto che la fretta mi divorava, ho preso
questo, d'istinto, senza neanche leggerne la trama. Ogni cuore
umano di William Boyd, edito nel 2004 dalla Neri Pozza
in una bellissima traduzione di Vincenzo Mingiardi.
Questo
libro è la storia di una vita in forma diaristica. Se l'avessi
saputo, probabilmente l'avrei lasciato dove stava, visto che la forma
diaristica non è tra le mie preferite. Anzi. Il fatto è che la
trovo molto difficile da gestire e più presa come una scorciatoia
per chi scrive piuttosto che come una sfida. Rendere un diario bello
e realistico allo stesso tempo non è affatto facile. Mantenere il
personaggio coerente, svilupparlo, farlo crescere e cambiare,
puntargli gli occhi addosso nonostante l'assenza di altri punti di
vista... via, non è affatto facile.
Neanche
a dirlo, Boyd ci riesce meravigliosamente.
Se
poi mi venisse da parlare un pochettino della trama, scommetto che
questa recensione ne uscirebbe arricchita.
Logan
Mountstuart nasce nel 1906 in Uruguay, figlio di una locale e del
padre inglese, magnate della carne in scatola e di un certo numero di
altri prodotti che sinceramente non ricordo. Si trasferiscono in
Inghilterra che Logan è ancora un ragazzino ed è lì che inizierà
il suo primo diario, all'età di quindici anni. Pagine zeppe della
vita di un tipico collegio privato inglese. Ho adorato l'affettata
pomposità del Logan-ragazzino, i progetti coi suoi amici Ben e
Peter, il rapporto coi professori... per quanto sia realistico e
credibile, rimane scritto splendidamente.
Poi
c'è l'università – Oxford – e il sogno di diventare scrittore
che prende vita. E poi ci sono gli incontri, le storie d'amore,
amicizie, la scrittura... un sacco di artisti interessanti che si
avvicendano per queste pagine. C'è Hemingway, c'è Virginia Woolf,
c'è Picasso, c'è Ian Fleming, c'è Joyce... un sacco, che si
avvicendano nella vita di Logan durante i suoi spostamenti, l'uno
amico dell'altro, l'altro che presenta quell'altro ancora.
Poi
c'è la guerra e poi c'è la vecchiaia. Logan continua a tenere un
diario, anche se in modo discontinuo, anche se ci sono salti di mesi
o di anni. Va avanti, semplicemente, nonostante quello che la guerra
gli ha tolto. Il suo amore per la scrittura, gli amici che restano e
quelli che se ne vanno, l'assenza quasi palpabile di coloro con cui
ha perso i contatti quasi senza motivo, e che vorresti
ricomparissero.
Lo
consiglio un sacco. Veramente. È un libro stupendo.