I Melrose di Edward St. Aubyn

Dunque, I Melrose di Edward St. Aubyn, traduzione di Luca Briasco, edito da Neri Pozza nel 2013.
A questo libro ho fatto la posta per diversi mesi. Ne avevo letto estremamente bene su un qualche blog, anche se non riesco assolutamente a ricordare quale. Me ne ero anche fatta un'idea tale da non corrispondere neanche vagamente a quello che è in realtà. Mi aspettavo un ritratto dell'aristocrazia inglese dei (più o meno) nostri tempi, con tanta ironia, faciloneria, risate, bicchieri che tintinnano, liete assurdità. Un libro serio ma un po' frivolo. E poi mi sono ritrovata a leggere una storia meravigliosamente scritta, ma in molti punti davvero orribile. Amara, aspra, dolorosa da leggere. Una storia che parte da babbo e mamma Melrose – più diversi personaggi di contorno – e continua nel secondo libro col disgraziato figlio Patrick, scivolato in fondo al pozzo dell'eroina a 22 anni.
Ora, questo libro è composto da quattro libri. L'ultimo, Lieto fine, è uscito pochi mesi fa separatamente. E lo voglio. Dicevo, il primo libro ripercorre un'unica giornata a casa dei Melrose, raggiunti la sera da vari amici di famiglia. Patrick ha cinque anni e... beh, l'orrore. Il padre è un sadico sociopatico, la madre annega la propria coscienza nell'alcol. Poi il secondo libro è appunto la storia di Patrick e della droga. Pochi giorni a New York trascorsi con le ceneri del padre e un sacco di droga. È stata una lettura curiosamente... beh, non posso dire piacevole, ma appassionante sì. Ed è strano, perché disprezzo cordialmente chi riesce a fare una scelta tanto imbecille come quella di bruciarsi le vene. Inoltre nulla è più noioso e prevedibile della routine di un drogato o alcolizzato.
Hai preso la tua roba? Sì. Cerca altra roba.
Oh, chissà che piega prenderanno i successivi eventi.
Eppure i pochi giorni di Patrick a New York sono stati belli da leggere. Forse per tutto quello che ripercorre, forse per le sue allucinazioni.
Poi il terzo libro, una serata a casa di amici dei Melrose, precedentemente conosciuti nel primo libro. Circa dieci anni dopo le vicende narrate nel secondo libro.
E poi l'ultimo libro, di cui non mi sento di dire nulla, che dopotutto è uno spoiler verso tutti quelli che l'hanno preceduto.
In sostanza St Aubyn racconta del bel periodo che la nobiltà inglese ha passato più o meno a metà del secolo scorso, almeno per quanto riguarda le stirpi che sono riuscite a foraggiarsi grazie a matrimoni con americani facoltosi e simili espedienti. E poi racconta la caduta di questo genere di vita. Prima prende i nobili oziosi insopportabilmente snob e li dipinge nelle loro teche di cristallo, pronti a disprezzarsi l'un l'altro, se non hanno altri bersagli a portata di mano. Idee incredibilmente retrograde, al punto che mi chiedo se l'autore non abbia esagerato. Ci sono stati punti in cui mi scoprivo a sperare l'arrivo di un'orda di zombie a massacrarli, oppure a pareggiare le differenze sociali. Forse è per questo che mi piace tanto l'idea dell'Apocalisse Zombie, la vedo come la grande livellatrice, portatrice di democrazia.
… dicevo.
Prima descrive queste persone così assurde da apparirmi aliene, poi ripercorre l'erosione della loro specie. Il che fa anche piacere.
Questo libro racchiude i ritratti che St Aubyn fa di un certo tipo di persone e le conseguenze di un certo tipo di vita. Ma la cosa meravigliosa è che queste persone arriviamo a conoscerle benissimo, anche quelle che compaiono per poche pagine, anche le minime comparse. Cogliamo perfettamente anche gli schizzi appena abbozzati.
Certo, il quarto libro è molto diverso dagli altri. Ha inizio nel 2000, quando quella vacua civiltà è quasi scomparsa, perlomeno dalle vite dei personaggi che St Aubyn segue. Ma, come ho già detto, preferisco non dire altro.
Dico solo 'bello'. Davvero bello. Strazianti i primi due libri, irritante il terzo – orridi riccastri, che lo zombie vi colga – ma tutti meravigliosi.
Sì, ovvio che lo consiglio. È stupendo e basta.

E diamine, voglio il seguito.