Beh, buongiorno.
Quello di oggi lo sento come un post speciale. Racchiude l'intervista a Francesco Dimitri, che considero uno dei più promettenti scrittori italiani e che sono immensamente lieta di aver incontrato al Lucca Comics. Quando mi sono seduta nella piccola sala della conferenza sulla narrativa fantastica ancora non avevo letto nulla di suo né di Tarenzi, altro autore presente all'incontro. Ne sentivo parlare continuamente e non c'è dubbio che prima o poi li avrei letti entrambi, ma ci sarebbe voluto molto più tempo e nel frattempo avrei perso qualcosa. Ricordo chiaramente una cosa detta da Dimitri, mentre chiacchierava di narratività con Tarenzi. È stata la cosa che mi ha fatto correre ad agguantare L'età sottile. Diceva che i personaggi, per lui, valgono più della storia. Che non bisogna usarli come fossero strumenti per portarla avanti, che hanno diritto a un po' di rispetto. No, non ha usato questi esatti termini, ma... ecco, visto che se non mi dimentico nulla nel corso di 24 ore l'universo finisce per collassare, il giorno di quell'interessantissimo incontro, il prezioso connubio bloc-notes+penna è rimasto a languire a casa. Quindi niente appunti. Mi è toccato rielaborare. La sostanza, però, era quella.
Ma via, sto togliendo spazio all'intervista vera e propria.
Una piccola presentazione?
Lascio
fare a Google.
Com'è stata la tua adolescenza? Te lo chiedo perché leggendo L'età sottile l'ho immaginata molto, molto simile alla mia.
È
stata... oscura. Peraltro non oscura in modo tradizionale, nel senso
che non avevo bulli che mi picchiassero o che. Avevo qualche problema
di disciplina, ma niente di grave. Avevo anche ottimi amici, e alcuni
li ho conservati. Ma mi sentivo fuori posto. Sempre. Comunque. Amavo
studiare tanto quanto odiavo andare a scuola (solo un sadico può
pensare che sia davvero una buona idea prendere un sedicenne e
sbatterlo a sedere per una mattina intera nello stesso banco). Mi
annoiavo a morte il sabato sera. Leggevo fumetti (e all'epoca non
solo non andavano di moda, erano proprio considerati roba strana).
Sentivo di non avere un mio posto; di essere sempre più un
osservatore che un partecipante. È ancora così, in parte, ma ho
imparato ad accettarlo e apprezzarlo.
Cosa pensi dello stato della letteratura fantastica in Italia? Vedi spiragli?
No.
L'editoria italiana non è organizzata come un'industria. Per dire,
ci sono agenzie rinomate che si fanno pagare da aspiranti autori per
leggere manoscritti, e questa è una cosa che in altri Paesi è
considerata inaccettabile, giustamente. Gli editori non investono
sugli autori. La ricerca di nuovi talenti, che non siano fenomeni da
baraccone, è praticamente finita - non puoi attirare talenti se
pretendi di pagarli poco o niente, o addirittura se chiedi di essere
pagato per leggere. Poi, intendiamoci, c'è tutto un sistema
economico e culturale che sta crollando, ed è molto difficile per
tutti rimanere a galla, e ciascuno fa quel che può. Ma che non ci
sia investimento sulla ricerca e sviluppo di talenti è un dato di
fatto. E non vedo segnali di cambiamento positivo.
I libri che ti hanno 'formato' come scrittore?
Libri,
fumetti, serie TV, videogiochi... mi formo di continuo con un sacco
di cose diverse. Clive Barker è fondamentale. È fondamentale Joss
Whedon - tutto. Tolkien, anche se non credo scriverò mai fantasy
'tolkieniano'. Di recente The Last of Us, il videogioco, mi ha aperto
un mondo.
Come mai la scelta di trasferirti a Londra?
Ero
annoiato dall'Italia. Volevo orizzonti più vasti, un posto più
vivace culturalmente in cui vivere. E l'ho trovato.
Com'è il tuo rapporto con gli editori?
Un
'editore' è in realtà due cose diverse. Da una parte c'è la
macchina da business. E le macchine da business, per come sono
organizzate oggi in Italia, non funzionano. Dall'altra ci sono le
persone, e io ho la fortuna di avere a che fare con persone con cui
mi trovo bene, e con le quali c'è stima reciproca. Mi è quasi
sempre andata bene, sotto quell'aspetto. Ho avuto qualche problema
con Marsilio, ma capita.
Ti viene mai da correggere i libri degli altri?
No.
Quando leggo, o guardo qualcosa, o gioco, mi perdo completamente.
Dimentico ogni trucco del mestiere e mi lascio portare: altrimenti
che senso ha? A volte capita che ci siano cose che mi infastidiscono,
leggerezze tecniche o stilistiche così grandi da farmi 'uscire'
dalla storia. Ma in quel caso mollo il libro e ciao. Piacerà a
qualcun altro.
Qual è stato il tuo primo libro (come lettore)?
Sai
che non ricordo? Forse La Storia Infinita. Forse Vampiretto. O forse
qualcuno delle serie dei Tre Investigatori, Nancy Drew o gli Hardy
Boys. Uno in questo mucchio comunque.
Con che libro sei entrato (come lettore) nel fantastico?
Il
Signore degli Anelli. Unico. Indimenticabile. Letto, riletto,
annotato, consumato, amato.
E quand'è che ti sei detto che volevi diventare uno scrittore?
Quando
ho letto il Signore degli Anelli. Mi sono detto: è così che voglio
vivere. Immaginando.
La critica più assurda che ti sia mai stata rivolta?
Troppo
sesso in Pan, un libro che fin dal titolo parla di un dio del sesso.
È incredibile quanta gente abbia ancora, sotto sotto, una paura boia
del sesso.
Quanto tempo passa dalla scintilla della prima idea allo sviluppo della stessa, prima che si tramuti in scrittura?
Dipende.
A volte anni, a volte mesi, ma mai settimane. Mi piace far bollire le
cose nel mio inconscio prima di mettere giù anche soltanto una
parola. Ci sono idee che ho avuto anni fa che si trasformeranno in
storie, probabilmente, tra qualche anno.
Che cosa ci vuole, secondo te, perché una trama si trasformi in un libro?
Un
sacco di lavoro.
Si possono avere anticipazioni sulla prossima opera o il tutto deve rimanere avvolto in uno scaramantico silenzio?
Ho
vari progetti in lavorazione. Ma sono un grande fan dello
scaramantico silenzio.
Che cosa stai leggendo adesso?
Fiction:
Steelheart, di Brandon Sanderson. Ho letto l'incipit e mi ha
fulminato. Nonfiction: The story of Bacchus, di Andrew Dalby. Una
sorta di biografia di Bacco. Per un adepto di dèi goderecci come me,
è un piacere.
Domanda Marzulliana: parla di qualcosa che ti appassiona.
Arte,
donne, boschi, cibo. Mi appassionano i piaceri. Ma ne parlo già
abbastanza nei miei libri.
Qualche consiglio per chi vuole scrivere?
Scrivere.
È un mestiere molto, molto artigianale: si tratta di chinare la
testa e farlo, non c'è altro da dire. Consigli, manuali, trucchi,
tutto e niente può aiutare. Ma l'unica cosa che serve davvero è
tenere le chiappe incollate alla sedia.
Ultima domanda. Da dove credi che vengano le storie?
Credo
che vengano da altri mondi. Quando racconti una storia scopri
qualcosa che è già là, solo che non l'avevi mai vista. Non
inventi, non crei, in senso stretto. Più che altro sveli...
Fine
dell'intervista. Credo che dalla massa informe delle mie domande sia facilmente intuibile la disponibilità di Dimitri, quindi eviterò di
specificarne oltre l'estrema gentilezza. Solo rileggendo le domande
mi sono resa conto di quante fossero e di quante alcune fossero
evitabili o malamente poste. Quindi... beh, ancora mille grazie a
Dimitri.