E così vorresti fare lo scrittore di Giuseppe Culicchia

Io a Culicchia voglio bene. “Ai miei tempi” Tutti giù per terra era uno di quei libri che devi per forza leggere quando sei alle superiori, tipo Il giovane Holden e Jack Frusciante è uscito dal gruppo. Non so quali siano quei libri adesso, se i giovani lettori si siano nel frattempo spaccati in gruppi divisi per genere, davvero non ne ho idea. A voler essere sincera, “ai miei tempi” non sapevo, leggendo Culicchia, che stavo facendo quello che faceva una larga parte dei miei coetanei in tutta Italia, non avevo amici parimenti lettori che potessero svelarmelo e Internet non era ancora in grado di spararmi l'informazione. Ma comunque.
Dicevo che io a Culicchia voglio bene. È stato uno degli scrittori cardine della mia adolescenza, non tanto con Tutti giù per terra, quanto con A spasso con Anselm, Liberi tutti e Il paese delle meraviglie, un libro veramente stupendo, di quelli che ti ricordi cosa stavi facendo mentre lo leggevi. Ho letto un buon quasi-tutti dei suoi libri, e mi sono piaciuti tutti, questo più e quello meno. Culicchia è un po' famiglia nella mia libreria.
E dunque, quando ho visto il suo E così vorresti fare lo scrittore, edito nel 2013 da Laterza, un po' mi è aumentata la salivazione.
Che ne penso a lettura ultimata? Onestamente... non lo so.
È stata una lettura interessante, questo sì. Conoscevo già molti degli avvenimenti che racconta – tipo le bagarre del premio Strega – e degli usi e costumi della critica in rete e in foglio. O di cosa succede durante le presentazioni degli autori, delle insidie dei contratti, dei lettori folli. Culicchia racconta un po' di esperienze personali in quello che non capisco bene se leggere come un diario un po' scarno di esperienze editoriali o lista di cose da aspettarsi quando-se passerai dallo stato di aspirante scrittore a scrittore conclamato da pubblicazione. Divide il libro in tre parti, “Brillante Promessa”, “Solito Stronzo” e “Venerato Maestro”, a seconda del tempo passato e del successo acquisito sul campo. E giustamente dipinge un quadro un po' tetro e sconsolante del mondo delle lettere. Certo, un raggio di sole non guasterebbe, ma chi sono io per questionare con Culicchia sulla vita dello scrittore?
È stata in sostanza una lettura gradevole e veloce, cui però non posso evitare di fare un paio di appunti.
C'è una cosa che non ho gradito, e sono le eccessive ripetizioni. Va bene fino a un certo punto, servono anche a ritmare, a “paradossare”, però il troppo stroppia. Ecco.
E l'altra cosa che stenta ad andarmi giù è che credo che Culicchia avrebbe dovuto andare più a fondo, senza restare troppo a metà tra l'ironico e il deluso, tra la confidenza e l'allerta. Scegliere se schiacciare sul personale o virare sul tecnico, ecco. Avrei voluto leggere qualcosa sul personaggio di Anselm, ad esempio. Come diavolo gli è venuto in mente il formichiere un po' punk col dono della parola che disquisisce e protesta con veemenza. Come è stato scrivere Paso Doble, una storia cui mi trovo a pensare ancora oggi, ogni tanto, nonostante siano passati dieci anni dalla lettura. E in che stato d'animo ha scritto Il paese delle meraviglie.
Oppure, al contrario, avrei gradito qualche consiglio tecnico, un taglio più manualistico da “Ti sei mai trovato in questo spinoso stallo narrativo? Io pure. Vedi...”, roba così.
È stata una bella lettura, interessante, però l'ho sentito anche come un libro a metà. Diciamo che spero che voglia ampliare il discorso, prima o poi. Attendo.