Ho
già cancellato questo post due volte, perché volente o nolente
finisco per parlare più del fenomeno Elena Ferrante
che del libro che ho letto. Del volto nascosto dietro lo pseudonimo,
quando credo che non ci sia un mostrarsi più vero delle parole, e
che a noi lettori di chi sia la Ferrante non dovrebbe fregarcene un
cavolo. Del fatto che, come ogni caso letterario, di fronte
all'entusiasmo spunta lo scetticismo, e pare quasi sia sbagliato
ottenere un successo così unanime, la magagna ci vuole per forza.
Ecco,
di nuovo. Ma stavolta mi sono trattenuta, non ho sprecato mezza
pagina in polemiche prima di arrivare al libro. Facciamo che mi
accontento, dubito fortemente di poter fare meglio di così.
L'amica
geniale di Elena Ferrante, pubblicato da edizioni e/o
nel 2011 e successo interplanetario. Meritatamente.
Ci
si potrebbe chiedere da dove venga tutto l'entusiasmo per questa
quadrilogia, giustamente. Un'occhiata alla quarta di copertina e...
meh. Sì, va bene. La storia di due amiche, Elena e Lila nella Napoli
dei rioni degli anni '50. La loro crescita fianco a fianco fino ai
giorni nostri. Che avrà mai di speciale la Ferrante?
Prima
di tutto, introduco un abbozzo della trama. Tralasciando la cornice
dei giorni nostri, in cui il figlio di Lila contatta Elena per dirle
che la madre è scomparsa, ci sono Elena e Lila, due bambine che
frequentano le elementari. Elena è una studentessa modello, una
bambina carina e adorabile, la prima della classe. Ma poi c'è anche
Lila, sporca e maleducata, sprezzante, piccola e bruttarella, che si
scopre essere un piccolo genio. Nasce un rapporto strano, simbiotico,
tra Elena e Lila. Lila è una luce, Elena è una cassa di risonanza.
Le due ragazze cambiano, crescono, e il mondo attorno a loro, poco a
poco, comincia a mutare. Abitano nella parte peggiore di Napoli,
quella povera e mafiosa, ma la mafia è in questo libro – per ora,
perché mi aspetto che la cosa cambi – è poca cosa, perché è
“ambiente”. Le loro strade si dividono, eppure loro restano
caparbiamente unite. Il loro rapporto è ambiguo, ambivalente. Se
Lila prova un affetto deciso per Elena, questa la ammira al punto da
volerla sfidare costantemente, mettendola al centro del proprio
universo. Basta un cenno di Lila e tutto perde significato.
Dicevo,
dov'è la grandezza di questo libro? Nel fatto che è crudo. C'è un
punto, appena dietro le espressioni del viso e le parole dette, in
cui i libri si fermano, quasi per pudore. I personaggi abbozzano, la
scena cambia, la trama va avanti. Qui no. Qui c'è Elena, la voce
narrante, che ci racconta di quello che accade, delle sue reazioni, e
poi il velo si squarcia e sappiamo tutto, tutto quello che le accade
dentro. È intenso, ecco. Non filtrato dalla nostra interpretazione.
Non c'è modo di leggerlo superficialmente, come lettura d'evasione.
Non che sia pesante o ampolloso, anzi. Le frasi della Ferrante si
bevono come acqua. Però non è acqua, è rum.
Quindi,
lo consiglio? Cristo, sì. Ripetutamente. Finché avrò voce per
parlarne e dita per scriverne. È un libro stupendo, e tentenno
all'idea di leggere il seguito – la mia amorevole madre mi ha
regalato secondo e terzo volume per la Befana. Sì, mia madre è Dio.
- perché non credo che riuscirei a concentrarmi sullo studio e sulla
tesi. È uno di quei libri lì. Vanno letti, ma bisogna saper
scegliere quando.