Questo
libro l'ho preso per caso, o per fortuna. Mi trovavo a Torino da
un'amica e non avevo più niente da leggere. Mi ero portata dietro
soltanto Storia della bambina perduta della Ferrante – finito che
ero ancora sul megabus – e un libro che mi stavo costringendo a
leggere e che proprio, davvero, non mi piaceva. Avevo finito
Fortunately the milk di Neil Gaiman – in Italia L'esilarante
mistero del papà scomparso, ma la mia amica aveva la versione
originale – e dunque mi trovavo in procinto di tornare a casa in
treno, con quelle belle quattro ore di viaggio, senza nulla da
leggere. A parte il libro che non mi piaceva e un paio di testi
universitari. Che fare dunque, se non fiondarmi dal Libraccio più
vicino, che è praticamente sotto casa della mia amica? Ne sono
riemersa con Copia-e-incolla di Danny Wallace, che mi ha fatto
compagnia durante quel viaggio, e Domani avrò vent'anni di Alain
Mabanckou, di cui mi accingo a chiacchierare, che ho divorato in un
paio di giorni più o meno la settimana scorsa.
Dunque,
Domani avrò vent'anni. Come dicevo, scritto da Alain
Mabanckou, tradotto da Alice Volpi e pubblicato in Italia
dalla 66thand2nd, casa editrice attorno alla quale giro
intorno come uno squalo ad ogni Salone del Libro, senza mai decidermi
ad attaccare.
E
alla fine ho attaccato con questo. E meglio di così non poteva
andare.
Il
protagonista, nonché narratore, è Michel, un bambino di circa dieci
anni che abita con la madre e, saltuariamente, col padre adottivo.
Lei vende noccioline, lui lavora come custode in un albergo, lavoro
tutto sommato di una certa rispettabilità. Michel ha anche uno zio,
fratello della madre, l'assoluto comunista René. Uno di quelli coi
soldi, però.
E
Michel racconta della sua vita, giorno per giorno. Racconta della
bellissima madre, Mamma Pauline, di come ha conosciuto il suo padre
adottivo, papà Roger. Dell'altra famiglia di papà Roger, quella con
Mamma Martine, e tutti i figli che per Michel sono come fratelli di
sangue. Racconta del suo migliore amico, Lounès, e della sorella
minore, di cui è innamorato, Caroline. Racconta di cose piccole e di
cose grandi, partendo da se stesso. Racconta di Pointe-Noire, della
Repubblica del Congo, della sua storia, della sua politica, per quello che possono rappresentare per un bambino di dieci anni.
E
qui è dove un libro già bello di per sé – perché sono belli i
personaggi, ed è bello il modo di raccontare – diventa qualcosa di
speciale. Almeno qui, almeno per me.
Io
non conosco granché dell'Africa, né molti autori africani. Mi rendo
conto di saperne molto più di quanto non ne sappia la media della
popolazione occidentale, grazie a qualche esame universitario ben
mirato. Eppure, se ci penso bene, non so quasi nulla. Dal punto di
vista culturale e letterario, per me l'Africa è lontana quanto la
Luna. E i punti di contatto sono quelli che abbiamo forzato,
piantando la nostra cultura in quella africana. In Domani avrò
vent'anni “i bianchi” compaiono un sacco, anche se in assenza.
Come esempio, come monito, come spauracchio. Sento, in Michel, una
rispetto reverenziale di quelli che col tempo si trasformano in
disprezzo.
Ma
non voglio cambiare discorso. Scriverò un post a parte, per chiacchierare di un argomento che ormai ha preso a frullarmi in testa. Domani avrò vent'anni è un gran bel
libro, punto. Per il fatto che a narrare è Michel, per come Michel
fa esperienza del mondo, e per come lo interiorizza visto dagli occhi
degli adulti che gli stanno accanto. Michel è un bambino fantasioso,
gentile, che sfoglia di nascosto un libro di poesie di Rimbaud nella
stanza di papà Roger, e che cerca disperatamente una chiave tra i
rifiuti.
E
sì, c'è anche da menzionare il fatto che è bello conoscere cose
nuove, e diversi “come”.
Quindi
lo consiglio un sacco. Un sacco.