Negli
ultimi tempi sto accettando più libri del solito dalle case
editrici. Oddio, più che altro capita più spesso che mi vengano
offerti libri ipoteticamente ganzi da case editrici di cui mi fido un
sacco come lettrice. Forse è il caso che mi dia una regolata,
comunque. Tipo un massimo di un libro ricevuto a'ggratis ogni due
recensioni di libri auto-finanziati. Cose così. Ho
un po' il terrore di ritrovarmi, un giorno, a gestire uno di quei
blog che fanno da ufficio stampa alle case editrici, quelli che sfoggiano errori di
battitura nei post, e un font grazioso ma illeggibile. Il cursore che
rilascia brillantini, immagini di gattini ammucchiate qua e là.
Diciamo che sto cercando di esorcizzare il terrore rivelandolo qui.
Confessioni terapeutiche.
Ad
ogni modo, mi accingo a recensire Hugo e Rose di Bridget Foley,
tradotto da Nello Giugliano e pubblicato in Italia dalla casa
editrice e/o, che 'sì cortesemente, come si sarà intuito
dall'inutilmente lunga introduzione, me ne ha fatto omaggio. Cosa per cui sentitamente ringrazio.
Dunque,
Hugo e Rose. Difficilmente avrei accettato in lettura un libro simile
proposto da un'altra casa editrice. Perché parla di sogni e regni
onirici, e quando si vira su questi temi, personalmente mi aspetto
sempre una fregatura, e una trama che progredisce per tappe fisse come “Lui e lei
sono due ragazzi che si incontrano da sempre nei propri sogni, poi si
incontrano nella vita reale, poi si innamorano, poi arriva il cattivo
che li vuole separare/fare un uso malefico del loro potere, poi lo
sconfiggono, poi vivono sempre felici e contenti”. Una cosa di
questo genere.
In
questo caso, la storia è diversa sin dalle premesse. Hugo e Rose non
sono due ragazzi. Rose è una donna adulta, sposata con Josh, che col
suo lavoro di chirurgo passa la maggior parte del suo tempo fuori casa, a sferruzzare pazienti. Hanno tre figli, due ragazzi di
otto e sei anni e una bimba di due. Avendo tre figli in età temibile
e un marito assente – fisicamente parlando, perché se avessero
tempo e spazio per avere una vita di coppia, ne sarebbero più che
felici, innamorati come sono – Rose è una mamma disperata. Si
sente fallita come educatrice, perché non esulta come gli altri
genitori alle partite dei figli, vorrebbe solo tornarsene a casa a
dormire. Si sente un mostro come donna, perché da quando è nata
Penny ha smesso di curare il proprio aspetto, ha iniziato a
ingrassare e a vestirsi in modo trasandato. Non si sente nemmeno
felice come moglie, perché sentendosi un mostro di donna, ha ridotto
all'osso i contatti col marito, che comunque, per quel poco di tempo
che riescono a passare insieme, ancora la adora.
Quindi
Rose si ritrova in questo periodo di stress e angoscia, a martoriarsi
perché non riesce a raggiungere un ideale impossibile di madre e
moglie da sit-com, e come consolazione ha i sogni.
Da
quando aveva sei anni, ogni notte Rose sogna di trovarsi insieme a
Hugo su un'isola fatta di sogni. Una spiaggia rosa i cui granelli di
sabbia ti fanno rimbalzare, un sottomarino tondo, di legno, col quale
attraversano i fiumi. I temibili mostri da combattere, la Città
Castello in lontananza, che non riescono a raggiungere, nonostante abbiano provato per tutta una vita. Hugo e Rose non invecchiano, nel
sogno, si sono fermati alla loro età più bella. Sono giovani,
forti, atletici. Tirano di spada, scalano montagne, sconfiggono i
Ragni giganti. Per Rose, quei sogni sono la liberazione da un momento
particolarmente duro e difficile della sua vita, rappresentano
l'unico momento della giornata in cui si sente davvero libera.
E
poi un giorno incontra Hugo. Hugo nella vita reale, alla cassa di un
fast-food. Ed è lì che la sua vita comincia a sgretolarsi. Inizia a sentirsi ossessionata, e la
situazione... beh, si evolve. E io non dico altro.
Ho
adorato il modo in cui il tema del sogno cozza contro la realtà,
disperdendola, sgretolandola. Quello che accade è plausibile, ed è questo l'aspetto che ho apprezzato di più. Si può
credere che questo è quello che succederebbe se due persone che
hanno passato la propria vita a sognarsi si incontrassero nella vita
reale. Ha perfettamente senso, e davvero non è poco, considerando le
premesse.
Quindi
sì, lo consiglio, e molto. Pur ammettendo che il finale mi ha
lasciata un po' incerta, troppo “aggettivo che non posso adoperare
perché diamine, sarebbe come svelare come finisce il libro, e
cotanto osare mi varrebbe il rispetto di me stessa.” Non che sia un
brutto finale, anche quello ha dopotutto un suo senso. Però mi ha lasciato con un
però. Anche se non credo si possa definire un “però” oggettivo.
A parte questo, diamine, mi è piaciuto un sacco.