Ogni
volta che leggo un nuovo volume della saga dei Cazalet - di Elizabeth Jane Howard, edito da Fazi - mi chiedo cosa
potrò mai scriverne di nuovo. Siamo al quarto, Allontanarsi, di cui
ho finito la lettura stamattina, approfittando del mio orologio
biologico che ha deciso di svegliarmi un paio d'ore prima della
sveglia. Non che mi mancassero molte pagine; la saga dei Cazalet
figura tra quelle letture che si fanno leggere pure nei periodi di
non lettura. Non che questo sia un periodo di non-lettura, anzi,
potendo leggerei un sacco. Ma è il “potendo” che mi sfugge, è
una questione di tempo. C'è però il fatto che per i Cazalet, bene o
male, il tempo si trova. Sempre. Lo crei dal nulla. Te lo porti a
tavola, te lo scofani in autobus, ti svegli due ore prima nonostante
il sonno. I Cazalet.
Intanto
segnalo le chiacchierate fatte sui volumi precedenti di cotanta
meraviglia. Qui, qui e qui. E mi rendo conto di quanto appaia poco
professionale e per nulla oggettivo riferirmi a quest'opera come a
“una meraviglia”. D'altronde non ho creato il blog per essere
oggettiva, e poi oh, io i Cazalet li adoro. Apprezzo come personaggi
pure quelli che vorrei vedere esplodere sotto una pressa – giusto
un paio, in realtà.
Dunque,
vediamo. Che posso dire ancora dei Cazalet, che io non abbia detto
nei tre post precedenti?
Intanto
il focus è sempre di più sulle tre ragazze; Polly, Louise, Clary.
Certo, ci sono anche tutti gli altri membri della famiglia, da Rachel
a Hugh, da Edward a Zoe. C'è Rupert, con tutto ciò che ne consegue,
e c'è pure Archie, che non farà proprio parte della famiglia in
senso stretto, eppure riesce a fungere da sostegno e collante
insieme.
Non
ho voglia di parlare di lui, però. Né di Zoe, nonostante io la
adori, né del Generale o di Miss Milliment. Ho voglia di parlare
delle tre ragazze che fanno da fulcro alla serie, che vivono i
mutamenti del mondo di cui fanno parte, che hanno superato i
vent'anni e vivono delle vite da adulte che, lo ammetto, mi hanno
quasi reso difficile riconoscerle.
Il
fatto è che io quelle tre le ho viste crescere. Mi ricordo Louise la
drammatica, che viveva per la recitazione; e Polly che piangeva così
facilmente per gli altri e si faceva forza per se stessa; e Clary
che… beh, era Clary. Era selvatica. Era Jo March, la mia diletta.
Me
le ricordo piene di dubbi e poi piene di sogni, che si trovavano a
tremare per la guerra e poi a mostrarsene coraggiosamente infastidite
– non Polly, certo.
E
ora sono cresciute. La guerra è finita, c'è chi ha fatto ritorno e
chi se ne va. Con tutto ciò che ne consegue. Sono adulte, che ci
posso fare, mi viene da ripeterlo. Stanno ancora crescendo, che
quello è un processo che credi finito solo quando non hai ancora
vent'anni e pensi che a un certo punto si diventi esseri completi, ma
sono adulte.
E
io faccio fatica a riconoscerle, a riconoscermici, a identificarmici.
Sono persone nuove, hanno cancellato parti di sé, e se ne sono
raccontate altre sulla loro infanzia. Ed è un processo riportato con
immensa grazia, senza sottolineature. Ma comunque spiazzante –
almeno per me.
Una
cosa che adoro nella scrittura di Elizabeth Jane Howard – e in
questo libro in particolare – è come elementi di crisi che
potrebbero fare da fulcro e motore a un romanzo intero, qui vengono
vissuti e raccontati come verrebbero vissuti nella “vita vera”.
Non c'è quel pathos estremo, quella tragedia consumata che si chiude
con un lieto fine, a sancire la fine di una vicenda che pare
coincidere con la fine della vita dei personaggi. No, accadono cose
segnanti e terribili, si annega nel dolore, si cade innamorati o si
subisce un lutto.
E
poi ci si rialza, il dolore si attenua, si continua a vivere.
Di
rado ho letto opere così delicate e piacevoli, eppure
straordinariamente oneste e umane. È così che va. Cadi e ti rialzi,
magari più sanguinante. Oppure più forte. E il dolore non è detto
poi che te lo ricordi. O che te lo ricordi così intenso e terribile.
Ecco,
il punto quando mi trovo a chiacchierare dei Cazalet è che non mi
viene da spiegare la trama e gli avvenimenti. Sì, ok, belli i
personaggi, più che convincente quello che succede loro. Bello
trovarsi nella Londra del dopoguerra, piacevolissimo lo stile, bello
lo spazio concesso anche ai personaggi secondari, e soprattutto ai
personaggi spiacevoli.
Però
non c'è solo quello. Non solo.
Ecco.