Sono
giunta a trovare bislacco trovarmi ad aggiornare il blog direttamente
da casa e non dal banco prestiti della biblioteca. C'è qualcosa che
non va.
Dunque,
Il mio nemico mortale di Willa Cather, edito da Fazi
nella traduzione di Stefano Tummolini, gentilmente speditomi e
da me ricevuto con immane gradimento. Ne avevo leggiucchiato in giro
e, devo dire, mi aspettavo un volume di considerevoli dimensioni.
Invece è un libriccino breve, svelto, poco meno di 100 pagine che
scorrono senza fermarsi in un pomeriggio. Temo infatti che sarà un
post breve – ma considerando i soliti papiri non è che la cosa sia
necessariamente negativa.
Il
mio nemico mortale è un romanzo in prima persona, in cui la
narratrice, interna alla storia, narra le vicende dell'effettiva
protagonista. La prima è Nellie, una ragazzina che accompagna la zia
Lydia a incontrare una sua vecchia amica, Myra Driscoll; la seconda è
la vecchia amica, una donna straordinariamente affascinante, aperta,
vivace. Una persona di quelle estremamente luminose, di cui segui la
scia lasciandotene trasportare.
Ma
non è una di quelle persone alla cui luminosità fa seguito il
rancore, che appena ti illumini un poco cercano di ricacciarti
nell'ombra; è un personaggio coi suoi difetti, certo, ma è
soprattutto positivo. Prova un sincero affetto per gli amici, non è
snob se non con gli snob, è sempre pronta ad aiutare gli altri, si
interessa delle loro vite e dei loro problemi. È una persona
straordinaria, vivida e acuta sotto ogni punto di vista.
Ma
la sua storia è suddivisa in due parti, una che rifulge, e
l'altra... beh, un po' diversa. Non dico altro.
Il
fulcro del romanzo, invero, dovrebbe essere il rapporto col marito,
per fuggire col quale ha rinunciato alla vita di inenarrabili
ricchezze che le sarebbe toccata alla morte dello zio, che l'ha
diseredata in seguito a una spietata e decisa fuga d'amore.
Forse
è vero, il centro del romanzo è questo rapporto; ma sarà che è un
rapporto raccontato dagli occhi esterni di Nellie e non da Myra né
dal marito, mi è sembrato si trattasse più di Myra e del mondo che
abbracciava e le sfuggiva, in una dimensione assai più globale.
È
un romanzo breve, ma completo. Do ragione alla Byatt, che nel suo
blurb dice che non c'è una sola parola superflua o ridondante. Dico
la verità, l'avrei preferito più lungo; ma potrebbe anche solo
voler dire che non volevo finisse così presto.