Piccola dea di Rufi Thorpe

Ho finito di leggere questo libro ieri sera, e ho urgenza di parlarne subito. Non voglio che mi scompaia dalla testa, voglio scriverne mentre ancora mi chiedo quale sia il messaggio di fondo, e se l'autrice lo volesse uguale per tutti, o se ne esista uno soltanto per l'autrice. Trattasi di Piccola dea di Rufi Thorpe, tradotto da Cristina Vezzaro e pubblicato in Italia da Sonzogno. Che tra l'altro me l'ha inviato a'ggratis perché ne parlassi, ed è uno di quei casi in cui non so quanti “grazie” mandare, perché è un libro potente e meraviglioso, di quelli che ti lasciano coi polmoni sgonfi a ripeterti “Che libro. Dio, che libro”. E chissà quando l'avrei letto, se non me l'avessero inviato. Quindi, beh, grazie siori Sonzogno. Ho estremamente apprezzato.
E dunque, la voce narrante è quella della protagonista, Mia, che racconta della sua vita rapportata a quella di Lorrie Ann, la sua piccola dea. Non solo perché è bellissima e sembri provenire da un altro mondo – la sua famiglia è unita e felice a livelli da sit-com – ma perché è tanto buona da essere perfetta. Non giudica, non deride, offre sempre conforto, e quando si rende conto di avere ricevuto un resto sbagliato da un negoziante, corre a restituirgli la differenza. E Mia la idealizza, e per contrasto si sente malvagia, “quella cattiva”, con un piccolo coso nero al posto del cuore. E questa è la vita di Mia in rapporto a quella di Lorrie Ann, che si fa sempre più aspra e difficile. Mia che viene accettata a Yale e studia... beh, in realtà non ho ben chiaro quale sia precisamente il suo indirizzo di studi, ma ha qualcosa a che fare con la storia e con la scrittura cuneiforme, mentre Lorrie Ann rimane nella città in cui sono nate, Corona del Mar. E ogni passo falso di Lorrie Ann, Mia lo vive come un affronto personale, come un errore imperdonabile. È la sua dea, e dovrebbe essere infallibile.
Mi viene spontaneo collegare Piccola dea a L'amica geniale di Elena Ferrante, di cui ho ampiamente – ed entusiasticamente – chiacchierato qui. Perché questo libro è la storia di una ragazza la cui vita ha continuato a scorrere in parallelo a quella della sua amica più importante, anche quando erano separate. E la voce narrante, questa volta, è di quella che si percepisce come “quella cattiva”. Come se fosse Lila a parlare, e non Lenù. Ma è anche un libro ambientato in un paese da cui è più facile fuggire e sradicarsi, e questa differenza è sostanziale.
È anche un libro crudo, onesto, potente. Mia non nasconde nulla, guarda con onestà al proprio aborto adolescenziale, alla vita di Lorrie Ann, alle conseguenze di un attaccamento morboso alla vita che non è vita.
E Mia sbaglia. Sbaglia spesso, nelle sue pretese, nelle sue riflessioni. Prende una strada, e scopre di dover tornare indietro. È questo che mi lascia perplessa e insieme esaltata. Mia sbaglia continuamente, è possibile che si sbagli anche alla fine, sulla conclusione del romanzo? Che la sua riflessione si riveli ancora una volta distorta?
Mi fermo prima di dire troppo. Ma ho adorato questo libro e diamine, lo consiglio ampiamente, senza remore, di cattiveria. Con estrema convinzione. È incredibile che sia un esordio.