Non
avevo mai letto Piccole donne, anche se ero convinta di averlo fatto.
Quando ero piccola avevamo in soffitta una versione ridotta per
l'infanzia, di quelle alte e corredate da illustrazioni colorate e
didascalie in corsivo. Ecco, io avevo letto quella che sarò stata
più o meno alle elementari, e fino a qualche tempo fa pensavo fosse
l'originale. Mi era piaciuto, certo, ai tempi; niente a che vedere
con l'assoluta sbregola che mi sta prendendo adesso per le
vicissitudini delle sorelle March.
Uno
dei motivi che mi allontana dal blog è il fatto che ho cominciato
servizio civile in biblioteca; il che è una cosa ottima, un po' dal
punto di vista economico e un po' perché l'ambiente mi piace, mi
trovo bene coi colleghi e, diamine, LIBRI OVUNQUE. Pensavo però che
sarei stata ben più capace nella gestione del mio tempo, invece
organizzativamente sono rimasta una capra confusa. Imparerò.
Ma
dicevo, ero in biblioteca e non sapevo che fare. Ero riuscita a farmi
destinare a una delle sale consultazione in cui è richiesto quasi
unicamente di dare un'occhiata agli utenti in modo che non facciano
casino. Ecco, avevo dimenticato a casa il libro che stavo leggendo,
avevo una voglia matta di leggere Persuasione di zia Jane ma sullo
scaffale non c'era. E poi bum, tutti i quattro volumi di Piccole
donne in una raccolta Einaudi tradotta da Daniela Daniele, edizione
del 2006.
Il
primo libro l'ho terminato il secondo giorno, ora sono più o meno a
metà del secondo, Piccole donne crescono. E che dire? Lo adoro.
Adoro le sorelle March, la narrazione, sorrido degli intenti
educativi di Louisa May Alcott, palesi e tuttavia per nulla
fastidiosi. Almeno per me, ecco.
Le
sorelle, le sorelle. I loro litigi, il loro modo di volersi bene e di
starsi accanto. Il povero Laurie – o Teddy – detto anche
L'Incompreso. Capisco l'unanime adorazione nei confronti di Jo, tremo
al pensiero della disgrazia che si abbatterà sulla famiglia tra
qualche decina di pagine, non mancano affetto e simpatia pure per Meg
e Amy, certamente frivole ma per nulla vuote.
Ecco,
una cosa che apprezzo molto è la comprensione dell'autrice – mi
verrebbe da definirla “indulgenza”, ma a ben vedere noto una
certa severità – per le due ragazze, piene di difetti, un po'
superficiali e attaccate al denaro. Non c'è disprezzo negli occhi
della Alcott, non le pretende perfette. Non possiamo essere tutte Jo
e Beth; si può essere pure Amy e Meg e fare del proprio meglio con
quello che si ha.
Capisco
che questo post non è che un'accozzaglia raffazzonata e confusa di
considerazioni troppo vaghe; d'altronde che si può dire di Piccole
donne? Che mi devo mettere a parlare della trama? Una famiglia
spiantata, quattro sorelle, un padre al fronte e una madre stanca che
fa del suo meglio. Un elogio alla gentilezza. Alla gentilezza sempre
e comunque.
Piccole
donne in questo è un po' Pollyanna, e qui ho già chiacchierato di
quello che penso al riguardo. Stiamo parlando di letture per bambine,
che in teoria vorrebbero porre basi per una crescita il più
possibile sana. Non sono una persona particolarmente attenta al lato
educativo, non propugno morali né etiche particolari, anzi. Però
che si dia un valore così alto alla semplice gentilezza, che tende
ad essere così barbaramente bistrattata manco fosse l'ultima delle
qualità... ecco, sono cose che a me fanno piacere. Mi riscaldano un
po', ecco.
(e
adesso chiediamoci, per quanto tempo sparirò ancora? :P)